MASTERS OF BRERA

Tutto nacque nel 2007 quando con voce intrisa di rammarico l’accademico professore e scultore Mario Robaudi mio amico mi raccontava che l’ultima volta che l’Italia ha portato gli artisti e gli operatori d’arte italiana collettivamente nel mondo è stata
negli anni ’60 a New York. Lui era uno dei fautori assieme a Sandro Pertini della controriforma delle Accademie e dei Conservatori per la parificazione a status universitario. Sorseggiavamo un aperitivo in via Fiori Chiari nel quartiere accademico di Brera, fucina delle più grande addensamento di gallerie d’arte d’Italia. Eravamo consci che gallerie storiche come il Milione e tante altre, risorte con orgoglio dalle ceneri dei bombardamenti del dopoguerra hanno reso grande l’arte a Milano e Brera attirando da tutto il mondo artisti e collezionisti. Anche l’Alfa Romeo ne diede un tributo d’eleganza e design con l’omonima sportiva. Ne parlai con il maresciallo dell’esercito italiano Francesco Montinaro con il quale ero in contatto per le “public affairs” e facendo leva sul suo orgoglio nazionale gli proposi: “Ma perché non facciamo una follia ? Perché non riportiamo l’Italia e l’arte italiana in giro per il mondo, meglio di quanto fecero negli anni ’60 ? Saresti capace di portarlo in Regione ?”. Lui mi guardò ancor più folle sorridendo e allora capii che la sfida era stata data. Serviva una meta, una meta del nuovo millennio, di prestigio e irragiungibile per i più. Allora mi venne un’idea e chiamai subito il mio carissimo amico Zhiqin Hu dicendogli “Caro Andrea, ma tu non avevi uno zio a Shanghai ?”.
Il dado era tratto, da li a poco formammo la squadra di battaglia e nacque “Masters of Brera”. Maestri di Brera / Masters of Brera aveva anche trovato la sua prima meta, la Cina di Marco Polo e de “Il Milione”, era Shanghai era la prima tappa di questo progetto.

Evento patrocinato dall’Accademia per le Belle Arti di Brera e promosso da Regione Lombardia e dal Sistema Camerale Lombardo mediante la partecipazione aggregata e coordinata degli operatori d’arte mediante un bando per l’internazionalizzazione delle imprese lombarde.
uno scatto dell’allestimento apertura mostra a Shanghai – 2008 il catalogo momento di analisi storica sui Maestri di Brera- Milano – 2007
L’evento inaugurato nel 2008 nell’anno delle Olimpiadi nella Repubblica Popolare Cinese, ha visto la straordinaria partecipazione di oltre 120 artisti, 75 gallerie d’arte e l’esposizione di oltre 200 opere d’arte moderna e contemporanee ospitate al museo nazionale Liu Hai Su in pieno centro a Shanghai grazie al famoso “zio”.
L’evento ha visto coinvolte attivamente istituzioni come Regione Lombardia, Camere di Commercio lombarde, Promos, Accademia delle Belle Arti di Brera, Shanghai World Expo Group International, Associazione Generale Economica Commeciale Cinese in Nord Italia, Aon Assicurazioni e qualche pirata quà e la…

“Maestri di Brera” nasce da un cambio di prospettiva. Getta un ponte tra realtà diverse, lontane eppure in cerca l’una dell’altra. È un’idea che è diventata progetto e, poi, strumento, man mano che si concretava. Man mano, cioè, che realtà diverse la condividevano, ne prendevano coscienza, decidevano di farsene carico.
All’inizio, ovviamente, c’è l’arte. Ma non l’arte in astratto, come ipotesi di creatività e di bellezza, e nemmeno l’arte solo come produzione artistica di creatori isolati. L’arte, invece, come scuola e piazza e mercato: come “città” – come “quartiere” – in cui creare è stato possibile e facile perché c’erano le condizioni, i talenti, le competenze e la collaborazione per farlo al meglio. Questo è stato il quartiere urbano di Brera a Milano dal dopoguerra, e ha continuato a esserlo fino a oggi malgrado difficoltà di ogni tipo. A modo suo: in un modo, cioè, in cui creare diventa anche mostrare, esporre, vendere e comprare. Non è affatto un caso che Brera significhi gallerie d’arte non meno di quanto significhi atelier di creatori (pittori, scultori, fotografi, designer). Come in un quartiere vivo e abitato la piazza e il mercato contano quanto le abitazioni private, così Brera ha consentito alla somma dei suoi cittadini di essere più elevata – più efficace, più grande – del totale dei singoli.
Si può dire che “Maestri di Brera” divulgo, quindi, il modello-Brera fuori dai confini del quartiere? In un certo senso sì: dalle prime conversazioni che ho intrattenuto col professor Rolando Bellini e con altri amici quando l’idea si formava e non c’era ancora un progetto, indubbiamente emergeva il disegno di una iniziativa che sarebbe dovuta essere contemporaneamente scuola e piazza e mercato, ovvero un itinerario completo dal farsi dell’opera d’arte fino al suo presentarsi come “valore aggiunto”. E questo per due concrete ragioni: la prima, per rispetto di un modello felice, quello spontaneamente realizzatosi a Brera per tanti anni, che a sua volta poteva fare scuola. E la seconda, non meno importante, per superare un’idea di cultura asfittica e limitata, quella che oggi spesso – e spesso proprio in nome del “mercato” – relega le arti nel mondo del superfluo, dell’accessorio, quasi che a contare fossero soltanto le realtà industriali, commerciali, materiali. Sostanzialmente perché monetizzabili, a differenza dell’arte.
“Maestri di Brera” invece ha inseguito fin dall’inizio una prospettiva opposta. Nella convinzione che di tutti gli artigianati, di tutte le intraprese, di tutte le realizzazioni imprenditoriali, l’arte è proprio quella che meglio contraddistingue l’Italia, la meno imitabile e la più insostituibile. Il punto, semmai, è quello di come farla diventare “mercato”. Meglio: di come farla rientrare in quel mercato globale dal quale è uscita decenni fa per propria inadeguatezza a seguire il corso dei tempi. Qui il discorso si farebbe lungo, coinvolgendo una miriade di “perché” riguardanti la strana contraddizione nazionale in seguito alla quale il Paese che ha più risorse di territorio e di clima, più bellezze naturali, più reliquie storiche, più esempi di civiltà, più capolavori artistici, non sia capace di prosperare in relazione a cotante ricchezze. La nostra agricoltura è un disastro, il turismo è in declino, importiamo beni che dovremmo invece esportare. E di tutte queste contraddizioni la più enorme riguarda appunto lo scarso peso che la creatività artistica – potremmo dire la “capacità di bellezza” – mostra nel contesto nazionale. Al momento di conteggiare il patrimonio, è assai strano che l’arte non risulti tra le voci italiane essenziali.
Dunque, ci siamo messi a progettare “Maestri di Brera” esattamente alla luce di queste considerazioni. Cioè considerando l’arte come una risorsa storica votata a confermarsi risorsa anche strategica: risorsa di mercato. Il coinvolgimento delle autorità regionali e della Camera di Commercio di Milano è stato la conferma del fatto che il progetto poteva prendere forma non soltanto come iniziativa privata e occasionale, bensì come nuova strada condivisa per proporre l’arte nel mercato. Coinvolgendo come soggetti le gallerie, e creando una mostra-fiera in cui il progetto artistico unitario andasse di pari passo con la proposta commerciale in contesti di mercato significativi, il bando regionale ha introdotto e sostenuto un nuovo “modello di comportamento”. Un modello che è importante e innovativo tanto quanto è, ancora, così giovane da richiedere tempo e sforzi per migliorarsi e divulgarsi. Ma ciò che è stato fatto è importante: da ora in poi in ogni parte d’Italia, per una moltitudine di esperienze artistiche e artigianali, si potrà riproporre lo stesso modello. Non solo artistico, perché dotato di una robusta anima commerciale. E non solo commerciale perché preceduto da un’ispirazione che imprime unitarietà di scopo e sottolinea ciò che, pur venendo sul mercato, rimane superiore al mercato perché, in definitiva, è impagabile. Come è appunto l’arte.
Concludo con un riferimento al primo scenario internazionale in cui “Maestri di Brera” va a collocarsi in questa fine d’anno 2008. La Cina è, di tutti i mercati che agiscono nella contemporaneità, quello che rappresenta la sfida più forte e più allettante. È lontano, è diverso, è potente. Finora, è anche sembrato che, salvo poche eccezioni legate alla moda e alle élite locali, il rapporto di mercato fra Cina e Italia fosse monodirezionale. Oggi, con “Maestri di Brera a Shanghai 2008”, affermiamo che si può fare anche altro, che ci può essere anche altro. E che l’Italia può dare alla Cina qualcosa di proprio che la Cina non ha. Anche questo è “Maestri di Brera”, e non mi sembra poco nell’ottica di arricchimento reciproco che dovrebbe essere la cifra migliore della globalizzazione.
Non mi resta che ringraziare, a questo punto, tutti gli attori del progetto “Maestri di Brera”. Li ho incontrati a uno a uno e insieme abbiamo riflettuto, discusso, elaborato, proposto, deciso. Mi riferisco innanzitutto agli artisti e ai galleristi che li rappresentano con professionalità, competenza e buonsenso. Ma anche, ovviamente, agli assessori (dire chi), ai dirigenti e funzionari della Camera di Commercio, a (altri Promos o quel che ti sembra), ai cinesi Zhiqin Hu e tutti. Ciascuna di queste persone, e tante altre che qui non c’è modo di nominare per mancanza di spazio e forse anche per limiti di memoria, sono state e saranno ancora indispensabili a “Maestri di Brera”.
Ringrazio particolarmente ai 10 gatti che hanno dato una mano operativa nel realizzarlo, in ordine alfabetico Federica Berner, Zhiqin Hu, Francesco Montinaro, Nicolò Olivotto, Stefano Pizzi, Mario Robaudi, Giuliano Sottoriva e Vesna Možgon.
Ermanno Di Mario
ideatore, project manager e anche commerciale
questo progetto lo dedico all’amico scomparso Mario Robaudi